Pubblichiamo l’inervista al direttore di Mondogreco, Francesco De Palo, apparsa sul quotidiano Labparlamento.
Non c’è solo la crisi bellica, pur gravissima, al centro dell’agenda delle maggiori cancellerie mondiali, ma la consapevolezza che è sull’energia che si sta costruendo il nuovo ordine mondiale. Lo dice a Lab Parlamento il direttore di Mondogreco Francesco De Palo, analista di geopolitica per varie testate italiane come Il Giornale, Formiche, Il Fatto Quotidiano e corrispondente in Italia del giornale greco Zougla, oltre che da poche settimane caporedattore de L’Argomento quotidiano.
Come si esce dall’imbuto della guerra?
Senza annunci o minacce, ma sedendosi seriamente ad un tavolo, così come accaduto in occasione della guerra in Jugoslavia. All’epoca, i trattati di Dayton furono il frutto di una scelta politica precisa, condotta da interlocutori qualificati e sufficientemente attrezzati per comporre un puzzle, seppur complicatissimo. Oggi leggo di autocandidature di potenziali mediatori, come il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che appaiono sinceramente poco credibili.
Per quali ragioni?
In primis perché Erdogan parla più con Mosca che con la Nato, quindi terzo non è. In secondo luogo le sue mire sul gas a Cipro e in Grecia non gli danno il vaucher di costruttore di stabilità, ma piuttosto di portatore di interessi di stampo suprematista nell’intera area a cavallo tra l’euromediterraneo e il Medio Oriente. Lo dimostrano le sue mosse in Libia.
Ovvero?
Dopo aver sosteuto con ogni mezzo il governo di Al-Serraj, ha siglato un accordo con Tripoli per una zona economica esclusiva sul gas che si “dimentica” dello specchio di acque dinanzi a Creta: non solo un’isola greca ma appartenente ad un paese di Ue e Nato. Bruxelles, come spesso accade, è in clamoroso ritardo su partite determinanti per il futuro stesso dell’unione.
Anche sul gas l’Ue è in ritardo?
Certo. Già nel 2014 era chiaro che, dalla crisi in Crimea in poi, i parametri geopolitici sarebbero mutati. Ma la cancelliera tedesca Angela Merkel decise di aumentare l’import di gas dalla Russia, senza calcolarne gli effetti sul lungo periodo. Oggi ci troviamo nell’assurda condizione di avere moltissimo gas disponibile nei giacimenti mediterranei di Zohr, Nohr, Leviathan e Glauko tra Cipro, Egitto e Israele, ma l’infrastruttura necessaria allo sfruttamento, il gasdotto Eastmed, è stata bloccata per ragioni politiche. Un altro autogol per l’Europa al pari di quello sull’elettrico: i giacimenti di litio sono in mano alla Cina, per la stragrande maggioranza. Come pensa Bruxelles di gestire le esigenze delle case automobilistiche e quelle di clienti che faticano ad arrivare a fine mese, figurarsi a potersi permettere una costosa auto elettrica?
Nel suo libro scritto nel 2014, Greco eroe d’Europa (Albeggi) raccontava della crisi del debito ellenico e della moneta unica. Oggi vede scenari simili all’orizzonte?
Purtroppo sì. La crisi energetica è iniziata ben prima dell’invasione dell’Ucraina, come dimostra il caro bollette che si è tragicamente abbattuto su imprese e famiglie. Semplicemente, dopo il biennio pandemico sono saltati tutti i vecchi parametri e si è iniziata una nuova partita che sta scomponendo l’ordine mondiale, per ricomporlo in una nuova fornula. L’anello debole è, come in passato, il versante meridionale dell’Europa.
Perché?
Paesi come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia hanno un debito pubblico non più sostenibile e la mossa di qualche giorno fa della BCE ha fatto subito tremare i mercati, come dimostra l’agitazione dello spread. L’energia può essere la chiave per scrivere un nuovo inizio, ma bisogna evitare le barricate ideologiche come quelle costruite sul Tap. Ricordate i sit in di protesta a Melendugno, che hanno ritardato il gasdotto, portati avanti da chi non aveva alcuna contezza del dossier energetico? Oggi quell’infrastruttura, vitale per l’Italia e l’Europa, serve il 10% del nostro fabbisogno nazionale e ci pone come avanguardia in quel sistema di connessione energetica che va dai Balcani al nord Africa. Se vi affiancassimo anche l’Eastmed avremmo risolto il problema.
Veniamo all’Argomento quotidiano: quali gli obiettivi?
Provare ad argomentare tesi e opinioni in un momento in cui tanti straparlano, ma pochi dicono davvero qualcosa. La ricerca spasmodida del clic e dell’effetto sta mortificando questa professione, troppo spesso ridotta alle polemiche da bassa cucina, senza invece occuparsi dei grandi temi su cui i nostri figli dovranno poi costruire il proprio avvenire. Questa mancanza di prospettive ha spinto un editore lungimirante come Francesco Patamia a scommettere sul mondo dei media.