In questi giorni in Grecia tutti parlano dell’aumento del prezzo del caffè, a causa di nuovi balzelli, a fronte di stipendi bassi: certamente un problema non da poco, ma dimenticando che le politiche fiscali dell’ultimo lustro sono essenzialmente il frutto del memorandum della troika a seguito di un fallimento totale (evitato per un soffio), i cui responsabili non hanno pagato fio.

Piuttosto, sono due le riforme strutturali che servirebbero al paese per provare ad uscire dalle sabbie mobili di un sistema che mostra più autolesionismo che visione: l’abolizione del numero chiuso universitario e la fine del doposcuola pomeridiano. Due elementi della status quo ellenico che rappresentano una zavorra per i motivi che spiegherò in breve e che nessuno ha mai affrontato.

Gli studenti greci dopo la fine del canonico orario scolastico mattutino sono costretti a frequentare i noti “frontistiria”, ovvero dopo-scuola praticamente di tutte le materie in assenza dei quali non raggiungono la necessaria preparazione per proseguire il corso di studi e approdare alle famose panellinie universitarie che precedono la scelta della facoltà. 

Un quasi obbligo che impatta sul bilancio di tutte le famiglie, costrette a rette mensili di circa 500 euro in media, se non di più.

Sul punto sorge una domanda, tanto semplice quanto esemplificativa: che bisogno c’è per tutti gli studenti (non solo per quelli che necessitano di un aiuto) di avere un supporto pomeridiano? Forse le lezioni a scuola non sono sufficienti? E se non lo fossero, allora andrebbe riformata la scuola, perché in questo modo si costringe anche chi non se lo può permettere a spendere denaro per una replica delle lezioni scolastiche. 

Inoltre il sistema dei frontistiria ha creato una corsia parallela di insegnanti che spesso lavorano in nero, al pari di quei numerosi medici che negli ospedali greci continuano a prendere una bustarella di denaro anche per una semplice appendicite.

In secondo luogo, ma connessa alla prima questione, c’è la spada di Damocle dell’università che in Grecia è a numero chiuso e il cui accesso è determinato dal risultato che ogni studente ottiene durante gli esami di stato, chiamati “panellinie”. Per cui, ad esempio, un ragazzo che abita a Salonicco, per la base di voto che ha raggiunto all’esame, potrebbe essere costretto a frequentare una università che non ha scelto e pergiunta in una sede distante migliaia di chilometri da casa propria, magari a Creta, con una serie di spese accessorie notevoli per vitto, alloggio e spostamenti. I meno fortunati, coloro che non passano l’esame, devono andare a studiare all’estero, con altre spese da sostenere. 

L’impatto del sistema formativo sulle reali possibilità di un paese di progredire è da sempre notevole, ma nel caso greco è assolutamente indicativo: ad oggi i denari dei cittadini vengono spesi per far spostare studenti che, invece, potrebbero scegliere la facoltà che preferiscono nella propria città o in una vicina. 

Al di là delle polemiche politiche che trionfano quotidianamente sui media greci e nei cafeneia, sono queste due riforme fondamentali che andrebbero affrontate e di cui purtroppo nessuno parla, preferendo incolpare delle problematiche attuali (come si usa fare da decenni) o il governo attuale, o quello precedente, o gli americani, o i vaccini. 

L’auspicio è che la mentalità ellenica, soprattutto dei più giovani, possa cambiare in meglio. 

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