L’imponente mobilitazione sociale che in due anni è sorta in tutta la Grecia dopo il massacro di Tempi è forse ben più grave di quella andata in scena in piazza Syntagma contro la troika tredici anni fa.
Allora i greci protestavano per chi metteva le mani nelle loro tasche, per ripianare una voragine creata da tanti soggetti diversi, tutti egualmente colpevoli. Oggi i greci si indignano in quanto non c’è ancora un perché dinanzi ad una tragedia che ha spezzato giovani vite. Sarebbe potuto accadere a chiunque ciò che, purtroppo, è accaduto alle 57 vittime e che forse poteva essere evitato.
Ma c’è un elemento che va oltre il dolore, oltre la cronaca, oltre la polemica politica: è quel senso di impunità che avvolge l’intera vicenda, quasi come una fitta nebbia. Ricorda, per certi versi, il muro di gomma che fu eretto in Italia per la strage di Ustica, quando il 27 giugno 1980 il Dc9 dell’Itavia partito dal Marconi di Bologna e diretto a Palermo precipitò nel Mar Tirreno con 81 persone a bordo.
Oggi in Italia i familiari delle vittime si oppongono alla richiesta di archiviazione. Oggi in Grecia i genitori di quei ragazzi morti a Tempi chiedono risposte e, a differenza della piazza del 2012, questa volta i greci che protestano non hanno davvero nulla da perdere, perché non c’è qualcuno che ha tagliato loro la pensione o ha aumentato l’iva al supermercato.
Quel qualcuno li ha privati del bene più prezioso, la vita dei loro figli.
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